Dedicato alle mamme e ai papà

Ci si fa male giocando a rugby? É naturale che questa è la prima domanda che mamme e papà si pongono avvicinandosi ad uno sport che magari conoscono poco e che vedono in tv praticato da gente che ricorda più Schwarzenegger che i propri pargoletti. Eppure anche il basket o il canottaggio o lo sci visti in televisione sembrano lontani anni luce: chi di noi, pur praticando da dilettante uno di questi sport, potrebbe paragonare i propri muscoli o la propria tecnica a quelli di Shaquille O’Neal o a Tomba o gli Abbagnale dei tempi belli? Qualcosa di simile si può dire anche per il rugby. La durezza dei contatti e l’impatto muscolare sono proporzionati al livello in cui si gioca. Nel minirugby, ad esempio, valgono le regole cosiddette “no contest”, che limitano e disciplinano le situazioni di contatto, il primo compito degli istruttori è vigilare sul rispetto assoluto di queste regole.

Salendo di livello – anche qui: come in tutti gli sport – è necessaria una preparazione fisica maggiore ma aumenta anche il bagaglio tecnico e con l’allenamento il giocatore impara a gestire le situazioni di maggior rischio per la propria incolumità. Alla fine la percentuale di infortuni nel rugby è appena superiore a quella di altri sport di squadra.

In compenso chi si avvicina al rugby, sport meraviglioso giocato da gente brutta sporca e cattiva, fa una scoperta straordinaria che gli serve per la vita: “la bellezza è invisibile agli occhi”

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